Nella metà del secolo scorso, in Italia spuntarono centinaia di complessi musicali con nomi tremendi, tutti ispirati al rock inglese dei Beatles e degli Stones. In maniera simile, negli ultimi dieci anni il trend delle startup innovative ha illuso tutti di poter creare nel proprio garage quella che sarebbe diventata la prossima Facebook o Amazon. Quando sei anni fa ho fondato la mia prima azienda, per un attimo anche io ho guardato alla Silicon Valley sognando di costruire un business ispirato al modello americano, ma poi mi sono reso conto che stavo sbagliando.
L’Italia non è la California. E questo non significa che il nostro Paese sia peggiore o migliore, ma semplicemente che è diverso. Capirlo mi è costato sangue, soldi e tanta fatica. Puoi passare una vita a studiare la teoria e fantasticare sul futuro, ma certe cose ti arrivano in faccia solo quando ti sporchi le mani per provare a costruirlo, il futuro. E da lì non si scappa: o le affronti per sopravvivere, o le subisci e muori. L’esperienza è l’unica arma che abbiamo per scoprire che tante cose non funzionano come le avevamo immaginate, e che niente va secondo i piani.
Io l’ho scoperto sulla mia pelle, quando andavo in giro a parlare delle grandi innovazioni che avevo in testa e la gente, per quanto ne fosse affascinata, non sapeva che farsene. Questo può andar bene se fai il ricercatore, perché quello che inventi oggi sarà utilizzato tra 20 anni, un po’ meno se crei un’azienda e hai pochi mesi per far fruttare le tue idee prima di fallire: “Un imprenditore è qualcuno che si lancia da un dirupo e costruisce un aereo mentre cade” dice Reid Hoffman, fondatore di Linkedin.
Nel mio caso, quando DeRev ha aperto la sua piattaforma di crowdfunding, ho scoperto che agli italiani non interessava contribuire a strane invenzioni, droni e videogame tanto popolari sulle piattaforme americane. Al contrario, erano entusiasti all’idea di potersi impegnare e investire per migliorare la vita delle persone: così il crowdfunding, in Italia, ha fatto emergere quell’empatia e quella sensibilità verso la cultura, il territorio e lo spirito di comunità che da sempre ci hanno contraddistinto nel mondo.
La domanda che ne deriva è: come si fa a conciliare un business di successo con l’obiettivo di creare un impatto sociale sul mondo in cui viviamo? Per chi fosse interessato, avrò l’opportunità di parlarne domani pomeriggio insieme a SlimPay e Airbnb all’evento “Talking Heads – Good Reasons for Impact Economy” organizzato a Milano dagli amici del Fintech District: www.facebook.com/events/567484337014834.